lunedì 28 ottobre 2013

qualcuno deve pur averci presentato (primi incontri - casuali o meno e non sempre capiti - con i miei compagni di viaggi


6. lou reed, o del rispetto


detto fra noi, non mi ricordo esattamente quando ho ascoltato per la prima volta rock'n'roll animal, né chi fosse stato il pusher in quell'occasione. '74 o '75, probabilmente il long playing. perché quello che mi colpì al primo ascolto, e mi colpisce tutt'ora di quel disco è il suono. pieno, quasi ridondante, avvolgente, saturo, inesausto ed inesauribile. 
non sapevo molto di lou, allora. nel mio adolescenziale bisogno di catalogazione a tutti i costi lo classificavo genericamente nel glam. avevo ascoltato un po' di david bowie, pinup e aladdin sane, senza troppo entusiasmo, troppo pop per un giovane purista nerd come me.
quando parlo di questi primi ascolti, primi incontri con i dischi per me fondamentali, tendo forse a ripetermi. ma ci posso fare poco: veramente l'impatto di questi dischi è sempre fulminante. in questo caso, l'inizio del disco è affidato ad una lungo strumentale guidato dalle chitarre di dick wagner e steve hunter, veri dominatori di tutto l'album, che dialogano su un variopintissimo (esiste il superlativo?) tappeto di basso, batteria e tastiere. dopo diversi minuti entra, sorniona e strafottente, la voce di lou, e il pezzo diventa sweet jane. 
come dire che fino ad un minuto prima era storia, ed adesso è leggenda.
il contrasto fra il sontuoso magma strumentale e la voce un po' atona ed insolente del capobanda è il vero quid che fa grande il disco, il miracolo che ha ammantato di leggenda questo album. oltre all'infilata di brani mitologici.
così ho scoperto lou reed. avrei realizzato con il tempo che questa era soltanto una delle mille sfaccettature di quest'uomo straordinario. poeta secondo forse solo a dylan, uno che ha collaborato con andy warhol, robert wilson e i metallica, ispiratore e padrino di generazioni di correnti e musicisti, innovatore sempre, comunque e nonostante.
da quel primo ascolto, non sono diventato un superfan di lou, nel senso che non conosco tutti i suoi dischi (ne avrà fatti tremila), ma è forse il musicista che rispetto di più in assoluto e penso che abbia disseminato nella vicenda culturale del XX secolo alcune pietre miliari imprescindibili. 
francamente, pensavo che lou fosse immortale, tanto mi sembra fondamentale la sua presenza nel mondo. la sua scomparsa mi ha parecchio scosso. anche perché quando questi titani ci lasciano, rimaniamo sempre più soli in compagnia della miriade di cazzoni che ci attorniano e ci soffocano con la loro piccineria, e che messi uno sull'altro non arrivano neanche alle caviglie di lou.
forse, se avessi ascoltato transformer prima di rock'n'roll, non mi sarei attaccato a lou in questo modo. meno male

http://youtu.be/Nn5D2l37rdY

giovedì 29 agosto 2013

questi o quelli, per me pari son. confessioni di un vero fan

quando mi chiedono, o mi chiedo, quale sia il mio gruppo o artista preferito, sono sempre piuttosto indeciso sul da decidersi. preferirei infatti stilare una classifica tutta di ex aequo, tali e tanti sono i miei idoli. 
qualitativamente parlando non posso fare classifiche e poi sarebbe come dire se voglio più bene a mamma o a babbo. complessivamente, diciamo incrociando quantità e qualità, potrei dire i fairport convention, ma fra i circa 50 dischi che ho di loro, ci son diverse cadute di tono: in una carriera di oltre quarant'anni ci sta. o potrei dire i free, perché no. ma in questo caso, al contrario, la loro - cinque anni e sei dischi - è stata una vicenda lampo ancorché fulminante, si perdoni il calembour. stesso dicasi per i gentle giant, mentre per gli yes vale il discorso fatto per i fairport.
forse joni mitchell ha un percorso più uniforme, anche se di alcuni suoi dischi non sono così innamorato (perdono).
a conti fatti, è il caso di dirlo, potrei dire i genesis. da trespass a duke non scorgo eclatanti passi falsi, e trovo del buono anche nei dischi seguenti. anche perché di loro sono un vero fan, ma veramente vero, che non fa troppe distinzioni fra pre e post peter. 
si, ok, prima che qualcuno arricci il naso inorridito: i capolavori con la voce di peter, foxtrot, nursery crime, bla bla bla. per carità.
d'altra parte il primo disco che ho sentito di loro - e forse ancora quello che mi è più caro - è selling england by the pound, che si apre proprio con la voce nuda di peter: comprai la cassetta alla mostra dell'artigianato di firenze, insieme ad in rock dei deep purple, nel 1974, e la voce di peter gabriel mi folgorò, letteralmente. d'altra parte, sarei falso se non dicessi che amo allo stesso modo trick of the the tail e wind and wuthering, e che le interpretazioni di phil collins se la giocano con quelle di peter gabriel (avete ascoltato bene seconds out?).e anche dischi come and then there were three e duke hanno dentro canzoni bellissime.
chi dice che i genesis sono finiti dopo il divorzio da peter, probabilmente non ha mai realmente ascoltato niente di loro, di questo sono più che convinto, dopo la pubblicazione di the lamb lies down. che, diciamolo, era un disco un po' ridondante e con diversi pezzi superflui.
io ho avuto la fortuna di vederli dal vivo a zurigo nel 1982 ed a tirrenia nel 1983 con chester thompson alla batteria e daryl stuermer alla chitarra. concerti, anzi spettacoli fantastici. chiedete a chi c'era, oppure ascoltate i due cofanetti genesis archives. versioni magnifiche dei pezzi post gabriel e interpretazioni assolutamente all'altezza delle canzoni originariamente cantate da peter gabriel. d'altra parte phil e peter hanno, meglio avevano, un timbro vocale simile, e gabriel non ha mai fatto mistero di ispirarsi a collins, che tecnicamente è sicuramente più dotato, anche se peter ha una indubbiamente superiore personalità. per dire, su selling england c'è un pezzo cantato da phil, more fool me. io personalmente - ma so di non essere il solo - ho scoperto solo diversi anni dopo che non era peter a cantarla....
non ho avuto prove, e d'altra parte non avrebbe senso alcuno dire se dal vivo erano meglio i genesis con peter gabriel di quelli senza. ci sono i dischi live, è vero. dai quali si desume che erano concerti e situazioni diverse, ma ugualmente mirabolanti. in realtà ci sarebbe ancora oggi il modo per capire ed apprezzare come fossero grandiosi i genesis su un palco. esiste un gruppo di maniaci canadesi, si chiamano musical box, che si sono presi la briga di riproporre i concerti di diverse tournéés dell'epoca d'oro. i tizi non sono una cover band dei genesis. loro, dal momento in cui salgono sul palco, "sono" i genesis. si muovono e parlano come loro, oltre a suonare, ca va sans dire, quasi come loro. strumenti e scenografie originali d'epoca, fanno da complemento ad uno spettacolo imperdibile per ogni vero fan. si ha modo di vedere veramente come si sviluppavano i brani e come si dipanavano le complesse trame dei nostri inni preferiti. in maniera fedelissima, del resto, anche perché i tipi sono così maniaci da avere un batterista pelato, mancino e che canta come phil! io ho visto i concerti delle tournéés di selling england e di the lamb. fortissime. i musical box mettono in scena anche the trick of the tail, ovviamente con un sosia di bill bruford! se vi capitano a tiro, e se siete veri fan, non ve li fate scappare.
w i genesis, con o senza, è uguale






mercoledì 12 giugno 2013

qualcuno deve pur averci presentato (primi incontri – casuali o meno e non sempre capiti – con i miei compagni di viaggio)

5. yes, l'appuntamento rimandato. seconda parte

era pomeriggio, ed era caldo. in quel banco - come in molti altri del resto - fra rayban, field jackets, t- shirts fruit of the loom, schiuma da barba noczema, e altre americanate - c'erano anche degli di scaffali di legno pieni di  musicassette e di stereo otto. c'era roba visibilmente taroccata, cassette di liscio e stornelli livornesi e roba un po' più seria, oltrechè, diciamo così, legale. mi ero già fermato a quel banco, forse il proprietario era amico di mio padre, ma non avevo mai trovato niente che mi attirasse. ma quel giorno la mia attenzione fu catturata da quella sorta di pacchettino appoggiato sopra lo scaffale. erano due cassette in un'unica confezione, dal colore giallo/marrone. sopra c'erano disegnati una specie di cervo ed uno strano pesce adagiato su un fungo. non avevo mai visto quel disegno in particolare, ma mi ricordavo delle copertine viste su ciao 2001 o al negozio di dischi, e realizzai che fossero gli yes. guardai la costola, anzi le costole, delle cassette e mi illuminai. eccolo! in un colpo solo gli yes, e addirittura yessongs, il disco magnificato dal ragazzo di bologna. non osavo estrarre le cassette dalla confezione, avevo paura  di romperla, quindi non sapevo quanti e quali brani ci fossero (che differenza avrebbe fatto, poi?), ma lo volevo. "babbo prendo questa". "ma costa un monte", "son due" "e prendine una sola", "non si può sono insieme, è un disco solo" "ma è uno o due?", "uno, ma fatto di due cassette", "vabbé". dura la vita del giovane rocker.
tornando a casa in macchina tirai fuori le cassette. erano marroncine, su una copertina il pesce, sull'altra il cervo. 8 canzoni da una parte, 5 dall'altra. poche. chissà come sono lunghe. guardo i titoli, alcuni sono stranissimi "siberian khatru", "the fish (schindleria praematurus)", altri hanno dei sottotitoli numerati. boh!
torno a casa, è ora di cena, non mi posso mettere ad ascoltare le cassette subito. dalla bibbia ciao 2001 evinco che è un disco registrato dal vivo (te pareva) e che il vinile è addirittura triplo (triplo!). inserisco la cassetta nel fedele (non tecnologicamente parlando, ahimè) registratorino sanyo e mi arrivano dei suoni piuttosto strani. come recita la copertina si tratta di "opening (excerpts from firebird suite)" di stravinsky. capisco subito che è un brano di musica classica - genio - ma mi ci vorranno anni per capire che il brano è registrato e non suonato dagli yes. tant'è, ad un certo punto il pezzo letteralmente esplode in una, arguisco, schitarrata distorta. è l'inizio di "siberian khatru", ed inizia la mia prima volta con yessongs.
l'ascolto è a dir poco faticoso, il ritmo è spesso inusuale e talvolta spezzettato, gli strumenti sono molti e suonano in maniera vorticosa, i brani molto lunghi. ogni tanto dal magma sonoro emergono un pianoforte, un organo, una chitarra meno distorta, una voce dal timbro angelico a riposare un po' le orecchie. c'è da dire che ci sono diverse melodie che colpiscono, anche se incastonate in strutture strumentali spesso furenti. 
di lì a poco andai al mare, per le vacanze, a san vincenzo. avevo nel frattempo dedicato un bel po' di ascolti alle cassette. alcuni brani iniziavano ad essermi leggermente più familiari, anche se la confusione regnava ancora sovrana. sentivo netta la preponderanza della chitarra di steve howe, anche se ero ammaliato dagli interventi delle tastiere di rick wakeman, che alle mie giovani orecchie (ma anche a quelle attualmente invecchiate) suonavano, chissà perché, inconfondibilmente british. in più nel brano "the fish (schindleria praematurus)", c'era una lunga performance di uno strumento che sembrava una chitarra, anche se distorta in maniera curiosa. 
quell'estate i miei invitarono da noi al mare la famiglia dell'ex commilitone di mio padre. mi potei così pavoneggiare con il ragazzo di bologna del mio acquisto e di una competenza che non avevo su yessongs. il biondino faceva battute da nerd, ma mi dette informazioni vitali per la comprensione del disco monstre e per la mia nascente carriera di maniaco del rock.
per esempio mi disse che il brano "excerpts from the six wives of henry VIII" era suonato tutto dal tastierista rick wakeman e che conteneva estratti dal suo disco solista, che all'epoca dell'uscita di yessongs non era ancora arrivato nei negozi. ma soprattutto, rivelazione delle rivelazioni, mi disse che quello che si ascoltava in "the fish" era in realtà un basso. dettaglio non da poco, dato che la notizia avrebbe cambiato per sempre la percezione di quello che sarebbe diventato il mio strumento preferito. e di un disco che non mi avrebbe più abbandonato.
curiosamente, ho acquistato il triplo long playing, la versione in vinile intendo,  abbastanza di recente, solo dopo aver acquistato la prima versione - doppia - in cd. ebbi modo però già all'epoca di avere tra le mani la magnifica, sontuosa, opulenta copertina del disco, con i disegni di roger dean, che, anni dopo, avrebbero ispirato i paesaggi di "avatar" di james cameron.
oltre al triplo vinile, ho tre (!) versioni in cd di yessongs. la prima, diciamo normale, mi è stata poi autografata da bill bruford, scusate se è poco. poi ho quella rimasterizzata, ed una cartonata che riproduce la copertina originale. caratteristica comune di tutte le versioni del disco - sul quale potrei partecipare ad un quiz a premi - è che la qualità della registrazione non è mai sopraffina. pazienza.
la famiglia bolognese rimase solo qualche giorno da noi.  tutte passate col biondo ragazzo bolognese a parlare di musica, e di yes.
non l'ho più rivisto, e purtroppo non mi ricordo come si chiamava. mi piacerebbe rivederlo, anche solo per ringraziarlo.

http://youtu.be/mASjsw9zIos


la prima parte del racconto si trova qui

http://giannozzo.blogspot.it/2013_05_01_archive.html


martedì 28 maggio 2013

qualcuno deve pur averci presentato (primi incontri – casuali o meno e non sempre capiti – con i miei compagni di viaggio)


5. yes. l'appuntamento rimandato. prima parte


ho sempre avuto più che un debole, diciamo anche passione sfrenata, per gli albums dal vivo. tipo, fra i miei 100 dischi preferiti, ce ne saranno 60, più o meno. adesso, ai giorni i nostri, i dischi live, con l'ipertecnologia, il digitale, le basi, i click e quant'altro, sono diventati poco più che lussuose antologie, con in più (anzi in meno) gente che canta e batte le mani spesso a sproposito. negli anni 60, e soprattutto 70, era diverso. ma che ve lo dico a fare. gli albums dal vivo, erano veri e propri banchi di prova per i musicisti, coronamenti e spartiacque per le loro carriere. insomma era dove si vedeva l’uomo in faccia. nei live – intesi come dischi – i fans e la critica testavano la bontà e la resa dei brani denudati dagli effetti, dai trucchi o dagli orpelli delle sale di incisione. si alimentavano le leggende dei grandi performers, e i fans più lontani dai luoghi sacri del rock, potevano avere un’idea di quello che erano capaci i loro idoli su un palco. e i più piccoli potevano sognare di essere in prima fila ad un vero concerto. magari tenendo in mano la copertina di questi dischi, spesso doppi o tripli per contenere la durata di un ideale concerto, di solito ricchi di foto scattate proprio durante i concerti. ci sono album dal vivo che sono diventati leggendari, nel bene e nel male, ci sono stati artisti che hanno pubblicato tantissimi dischi live, altri molto più refrattari, dando ragione alle malelingue che li volevano incapaci di esibizioni degne dei loro dischi (i king crimson, per esempio), dischi registrati male o malissimo, ma assolutamente straordinari, dischi ascoltando i quali, ti sembrava – ti sembra – veramente di essere al concerto. alcuni riportavano concerti interi, altri erano presi da varie esibizioni dello stesso tour, altri ancora addirittura spaziavano in vari anni, talvolta anche con cambi di formazione. ma tutti questi dischi, alle orecchie del giovanissimo fanatico, avevano, un tratto e un gusto comune e, ovviamente, magico.
tutto questo lungo preambolo, per parlarvi del primo disco live che ho ascoltato. ma, da vero cialtrone quale sono, naturalmente adesso non mi ricordo, se il primo “in concert” che ho incontrato sia stato questo, oppure “le orme in concerto”. però, dato che del trio veneto, abbiamo già parlato, diamo questa palma al disco in questione. che poi, parlare di dischi, è comunque improprio, perché, come già detto, i primi incontri sono avvenuti grazie alle cassette, anzi alle musicassette.
avevo già iniziato a leggere ciao 2001 da qualche mese e quindi stavo scoprendo nuovi gruppi, anche se, è il caso di dirlo, talvolta solo sulla carta. in un numero primaverile del settimanale, c’era la recensione del concerto romano di un gruppo inglese, gli yes. oltre al nome, ricordo che mi colpì la foto a doppia pagina del bassista. indossava un completino arancione con tanto di mantellina, ed era impegnato al microfono. [ apro una parentesi. all’epoca il basso elettrico, mi intrigava, soprattutto perché non mi riusciva di distinguerlo fra gli altri strumenti. poi, quando ho imparato a riconoscerlo me ne sono innamorato. chiudo la parentesi ]. il servizio era molto dettagliato e si dilungava molto sull’abilità strumentale del quintetto.
in radio non trasmettevano gli yes, perché il loro ultimo doppio album, il cui titolo non riuscivo a capire (tales from topographic oceans) conteneva brani troppo lunghi. in più, un ragazzo al mare – un fiorentino sbruffone più grande di me – mi disse “gli yes? barocchi, iobono!”
quell’estate, mio padre partecipò ad un raduno di vecchi commilitoni. uno di questi, un omone di bologna che si chiamava selmi, venne a mangiare a casa nostra, con moglie e figlio. il ragazzo, biondo e secco, aveva, mi pare 16 anni. quando vide i miei ciao 2001, ne prese uno, e disse “anch’io lo compro sempre”. Iniziammo a parlare di musica. io facevo il bullo con i pochi nomi che conoscevo davvero e quelli che facevo finta di conoscere, lui – chissà come si chiamava – sciorinava nomi e dischi, dei quali cercavo di prendere mentalmente nota. “ah, gli yes, mi piacciono molto, soprattutto yessongs, bellissimo”. immaginatevi questa frase detta con forte accento bolognese. la confusione e la curiosità aumentavano.
qualche settimana dopo andai con mio padre al mercatino americano di livorno, uno dei luoghi mitici e magici della mia giovinezza. lì avrei comprato il mio primo impianto stereo serio e i miei primi rayban, naturalement.
e lì trovai, finalmente, yessongs.


lunedì 29 aprile 2013

twitto in una nota. aprite i cancelletti



visto che sono rimasto l'unico beota a non twittare, anche perché in 140 caratteri o quanti diavolo sono non riesco neanche a dire buongiorno, mi metto un po' in pari, con un po di spare twits (oh yeah, si dice coì no?)
 anche se un po' #accazzodicane

ma è sempre l'europa, la storia, la congiuntura o la maiala di su' ma' che lo chiede. e quello che chiede il popolo? #anoisemprestianti

saccomanni all'economia. cioè, un banchiere a risolvere i problemi causati dalle banche. che è, omeopatia? #sisicomeno

perché, il presidente dell'istat al lavoro? #madai.....

da quando rainews 24 è passata da mineo alla maggioni, è diventata come skytg24, cioè una copia di una copia di cnn. cioè la copia di una copia di una cosa inutile. con la differenza che la paghiamo di tasca. #aspettaoratelopagoilcanone

alla fine, ci tocca anche difendere grillo. nel bene o nel male è al momento l'unica forza consistente fuori dal coro, ci piaccia o no, ed è attaccata da tutte le parti. speriamo che non la facciano sempre fuori dal vaso. #comesiamoridotti

ma che me ne frega se i neo ministri arrivano con i mezzi propri, o in taxi. mi importerà piuttosto di quello che vanno a fare, o no? e allora la idem doveva arrivare in canoa?
#ehmatuseisempreilsolito

alla fine, a furia di urlare contro il regime, berlusconi ci si è trovato dentro mani e piedi, e grazie al suo partito di riferimento. il pd. che vitaccia. #sonounragazzosfortunato

7 donne al governo. si, ma due sono del pdl. non basta essere donna perché vi si perdoni tutto.  #ecchecappero

mi stupisce il fatto che fazio o saviano non siano entrati nel governo. ma probabilmente adesso faranno i consigli dei ministri a che tempo che fa.  #siamoazerozerozero

a me la lorenzin fa proprio paura. mi sembra una di quelle bambine mai morte in quegli horror gotici che si svolgono nel new england. oh, è uguale, con quei denti di ferro, poi....
#triciclocigolante

consiglio i tifosi della fiorentina di mettersi l'animo in pace: il terzo posto del milan fa parte degli accordi di governo. #aspettaterenzipremier

ma adesso si potrà scrivere "governo di pisa merda" o è vilipendio dello stato? #orachiudonoancheilvernacoliere

parlando con un amico albanese, ho scoperto che forse forse guadagnerei di più a tirana. e magari la vita costa anche meno. quasi quasi.....  #sonounragazzofortunato



martedì 16 aprile 2013

abbassa la tua voce, per favore. siamo al mercato

come ogni tossico che si rispetti - o come ogni anziano che si rispetti - ho sviluppato una certa ipersensibilità nei confronti dell'oggetto della mia dipendenza. forse la mia è anche iper ipersensibilità, ma lasciamo fare. sto parlando della musica, comunque. l'amo così tanto, così troppo che sopporto male, anzi non sopporto proprio il modo in cui viene trattata, usata, divulgata, intesa oggi. non voglio fare un trattato troppo generale anche perché mi ci vorrebbe troppo tempo e, poco ma sicuro, scivolerei immediatamente nel moralismo. cosa che mi riesce sempre benissimo, figuriamoci quando si parla di musica.
ma un paio di aspetti mi piace sottolinearli.
innanzitutto, c'è troppa musica in giro, tralasciando il fatto che c'è troppa gente che suona e canta. parcheggi, negozi, ascensori, ambulatori, bagni, cinema, attese al telefono, musei e, ovviamente aperibar (termine tecnico).
ok, io accendo lo stereo prima ancora di aver sfilato le chiavi dalla porta, ma sono in casa mia, ascolto quello che mi pare, come mi pare e al volume che mi pare, senza imporre niente a nessuno. forse qualcosina ai miei vicini, ma è roba di qualità, comunque. spero. per loro.
quindi, perché devo continuamente sorbirmi musica quasi sempre fuori luogo (è il caso di dirlo), riprodotta male, spesso troppo alta di volume. tralascio in questa sede di parlare della qualità.
la musica, secondo me,  è un'esperienza piuttosto completa, un piacere che dovrebbe essere il più possibile consapevole e volontario. perché debba sentire i modà da una tromba da pesciaiolo mentre parcheggio, o giorgia da un altoparlante da autoradio mentre aspetto il mio turno dal dottore o addirittura mario biondi a tutto volume se passo davanti a un bar figo, lo sa dio, o chi per lui. un po' di silenzio, ogni tanto, non fa male. e qui il discorso si allargherebbe ad altri campi della comunicazione, ma non voglio andare fuori tema, per ora.
o si commissionano a brian eno un migliaio di dischi di musica da ambienti. potrebbe essere un idea.
ma più di tutto, oggi, ho un problema con il suono della musica moderna. 
ogni epoca ha le sue cagate, musicalmente parlando, c'erano quaranta o cinquanta anni fa, ci sono oggi. forse oggi un po' di più, ma non ne sarei così sicuro onestamente.
il problema, anzi i problemi, sono essenzialmente due. o forse uno. il suono, come dicevo prima  e i generi vanno fieri verso un'eccessiva e già molto consistente omologazione.
oggi la musica viene essenzialmente riprodotta da dispositivi e altoparlanti di piccole dimensioni, ancorché sofisticati. pc, personal players, autoradio, mini stereo, tv. se va bene ogni tanto c'è un subwoofer, ma c'è stata nel tempo una drastica dismissione di frequenze audio per venire incontro alle esigenze di miniaturizzazione, e ahimè di design, dell'ascolto che ha condizionato parecchio il modo di registrare e purtroppo anche di concepire la musica. nel senso che c'è tutta una gamma di suoni e sonorità "di mezzo" che sono andati via via sparendo dalle canzoni, portandosi via una buona fetta di armonia, che ritengo sia una parte fondamentale di  ogni composizione, ma che oramai è un'araba fenice. in pratica, una larghissima parte delle canzonette che ascoltiamo oggi, viene concepita e realizzata così. una base ritmica molto accentuata, con la batteria molto spesso trattata elettronicamente e il basso molto basso (sia di frequenze che di volume), tastiere o chitarre che sostengono la melodia, e la voce registrata alta, altissima. per me in maniera insopportabile. oppure c'è un pastone inestricabile con la voce sempre squassante (i negramaro, per esempio). in più, le esigenze di programmazione radio e tv hanno tagliato via introduzioni e finali dalle canzoni. se ci fate caso, il 90 % dei pezzi di oggi, iniziano e finiscono con la voce. come se quarant'anni fa le canzoni non passassero in radio o tv, boh!
tutto questo impoverimento, questa standardizzazione, è dovuta anche all'assoggettamento nei confronti del genere, meglio del multigenere (scusate il neologismo) dominante: il genere musical/talent, in cui tutto ruota intorno alla voce. se ascoltate bene come vengono proposte le canzoni nei talent show, o come vengono reinterpretate nei musical - soprattutto le versioni italiane - o in serie tipo "glee", oppure in una scaletta media di una radio tendente al giovanile, vi sembrerà davvero di ascoltare, grosso modo, sempre lo stesso genere. ed è un genere che, al di là del valore artistico (ripeto, le cagate c'erano anche prima), a me urta letteralmente le orecchie. soprattutto per queste voci inspiegabilmente alte, che lasciano miseramente sullo sfondo gli strumenti, e fa sì che non possa apprezzare proposte un po'più valide. faccio un esempio. adele è probabilmente brava e le canzoni potrebbero essere anche belle. ma canta troppo forte e i pezzi hanno strutture poverissime. in mano ad un produttore vecchio stile, secondo me, farebbe scintille. ma siccome piace a tutti, andrà bene così. in fondo quanta gente ascolta musica da un paio di jbl anni '70?
però, questo qui dei marta sui tubi, per dirne un'altro, ma perché urla così? o cremonini? o alicia keys? 
fateli cantare più piano. mi farebbero cagare lo stesso, ma perlomeno li ascolterei un po' più serenamente

martedì 2 aprile 2013

pecce pecia calia nardo raseni. quando si predica bene e si ruzzle male

è da un po' che volevo dire la mia su uno dei passatempo più in voga del momento, poi altre questioni tipo elezioni multiple e scomparse celebri (ahimè anch'esse multiple) mi hanno distolto dal mio intendimento. nel frattempo ho continuato a praticarlo, cosa che sta rafforzando le mie convinzioni.
sto parlando di ruzzle, questo giochino di parole che ha stregato probabilmente milioni di possessori di smart phones. come sempre mi succede, arrivo sempre dopo la banda, e quando  finalmente l'ho scoperto l'ho scambiato per un altro giochino, bookworm, al quale mi dedicavo con buoni risultati diversi anni fa. e mi ricordava anche scarabeo. quindi, non prima di aver fatto il gradasso su facebook, ho scaricato l'applicazione. mi sembrava strano che un gioco simile potesse avere un tale successo in italia, ma tant'è. mi son detto, ho un po' di dimestichezza con l'italiano, ho un vocabolario non limitatissimo, vinco a mani basse. ah ah ah ah. ho subito immediatamente una sequela di cenciate epiche. non riuscivo veramente a trovare il famoso bandolo (bando. dolo. lo. do. ba). a un certo punto, però, mi son detto eccheccacchio, e ci ho fatto uno  studio sopra. e sono arrivato alla conclusione che non sarò mai un campione di ruzzle.
intendiamoci, io sono una schiappa, a volte non vedo le parole neanche se me le presentano con le patate e l'insalata o evidenziate di giallo. e per sovrammercato non sono velocissimo a digitare sul touch screen. però ritenevo di non essere così pessimo e quindi sono andato alla ricerca di qualche regola aurea per non prendere tutte le risolate che prendo. e in realtà non ne ho trovate. vi faccio qualche esempio. ruzzle accetta parole come pecce, pecia, calia, raseni,  racco, occa, taso, torro, drami, vinate, vine, tapa, sene. ho chiesto ai miei avversari (più spesso avversarie, vere e proprie maramalde) "come ci siete arrivati?", "a caso, cercando altre parole, bisogna digitare continuamente". si, buonanotte. non ci arriverò mai. e poi, il giochino non accetta i verbi composti (bevilo, mangiale, rompiti, ecc) o riflessivi (trovasi). perché? ruzzle non accetta i nomi propri, ma berta, nora e lisa si. piero si e pierot no. perché?
parimenti non accetta i nomi geografici, ma prende ebro, e reno (e non arno. esterofilia?). prende sirte e non sinai, brasile e non siria o cina. prende capri ma non cipro. perché?
prende alcuni nomi latini come ter , pria e sine. ma non vici o opra. perché?
allo stesso modo con i termini inglesi. prende club, gate, pass, ma non next. perché?
e gli esempi sono tantissimi. ammetto di essere pignolo, ma io non riesco a ricavare delle regole da tutto questo.
io perdo tempo a scrivere copti e prendo 10 punti, mentre qualche giorno fa (per puro caso) con zigate zigato ziga ho fatto 1200 punti. e non so neanche che significa!
ruzzle! perchè prendi roi e rue e non cheri? perché prendi torr (chi cacchio è?) e non zorro?
perché trii si e dui no? perché bit va bene e tera no?
lo so, forse tutto questo non giustifica il mio record di 189 perse e 82 vinte (alcune per abbandono), ma insomma qualcosa non quadra.
caro ruzzle, se prendi cristo, ti devi prendere anche inri

giovedì 21 marzo 2013

una vita in bianco e nero, una vittoria a colori. buon riposo, pietro

certo che questo 2013 è iniziato veramente male. kevin ayers, peter banks, alvin lee, marcello vento, e ora pietro mennea, un sacco di eroi di noi vecchi ragazzi se ne sta andando via di qui.
la morte di pietro, per tanti motivi, ci colpisce forse di più. per la giovane età, per l'universalità del personaggio, perché pietro appartiene a quel novero di eroi sportivi che per noi ragazzi cresciuti negli anni 70 rimangono immortali, come riva, panatta, thoeni, meneghin, merckx.
rivedere le immagini della finale di mosca mi ha fatto riflettere principalmente per il fatto di essere a colori. se non ricordo male quelle furono le prime olimpiadi che ho seguito interamente a colori, da casa. quelle di montreal del 1976 furono lo stesso trasmesse a colori, ma solo in via sperimentale e io le vidi in bianco e nero (in salotto) e a colori (dalla vetrina del negozio di elettrodomestici di fonte).
pietro, come gli altri, è stato per me essenzialmente un eroe in bianco e nero. bastava la fantasia di noi ragazzi a colorare le loro imprese. la vittoria di mosca arrivava , a ripensarci oggi, a chiudere un epoca e ad aprirne un' altra. anche perché era il 1980, era alle porte un decennio nuovo, tutto da esplorare, e avevo 18 anni....
pietro non era spettacolare come gigi, vincitutto come gustav, bello come adriano, gigantesco come dino o onnipotente come eddy. ma era mennea, lo sentivamo vicino, nonostante (o forse proprio per questo) fosse, diciamolo, antipatico, non telegienico e un po' scostante. ma ci dava dentro, anche quando non vinceva e arrivava dietro agli americani o a borzov, oppure lottava con quarrie e wells.
e quando alla fine ha vinto la gara più importante ci ha nello stesso tempo accompagnato, traghettato dalla fanciullezza - mi si passi il pascolismo - all'età adulta. me ne accorgo soltanto ora, dopo trent'anni.
delle scelte che ha fatto dopo, in questo momento non me ne frega un piffero, e tirarle fuori oggi, mi sembra fuori luogo.
tanto per noi vecchi ragazzi rimane un eroe in bianco e nero

martedì 19 marzo 2013

qualcuno deve pur averci presentato (primi incontri – casuali o meno e non sempre capiti – con i miei compagni di viaggio)


4. the who, il giallo e l'arancio


ho le idee un po' confuse riguardo a dove ho sentito per la prima volta un pezzo degli who. alla radio di certo. probabilmente a per voi giovani, sempiterna scintilla e forcipe dei miei destini musicali. ma potrebbe essere stato anche a radio montecarlo. di certo mi ricordo di carlo massarini che parlava di quadrophenia, di quel poco che riuscii a capire del significato del titolo, della confusione che avevo in testa. la storia parlava di un ragazzo, a quanto afferrai, dei suoi problemi di personalità, ed era narrata, interpretata, a quanto diceva carlo, da "quattro ragazzi inglesi", il titolo voleva alludere ad una schizofrenia doppia o voleva accostarsi anche alla quadrifonia, che era la nuova frontiera dell'ascolto hi fi dell'epoca (particolare invero irrilevante, data la povertà degli apparecchi dai quali ascoltavo la musica all'epoca)? e i "quattro ragazzi" c'entravano qualcosa anche nella storia? boh. un'altra cosa che mi ricordo è che questa definizione di townshend e compagni mi colpì, e quando vidi per la prima volta una foto degli who su ciao 2001, mi sembrarono tutto meno che ragazzi. i quattro erano sui 30 anni, stiamo parlando del 73/74, ma in ogni caso i loro cipigli me li facevano sembrare più vecchi.
se penso però al primo brano che mi ricordo di loro, 5:15, il pensiero va a radio montecarlo, e alla voce di riccardo heinen in un tardo pomeriggio che annuncia il titolo sui rumori di stazione ferroviaria che si sentono all'inizio del brano. una musica roboante. chitarre, trombe, una batteria martellante. poi delle pause improvvise. ammaliante
non avevo pero' mai visto la copertina del disco, perché era già uscito da quasi un anno, quando vidi le foto degli who sulla rivista. ma l'appuntamento con uno dei miei dischi favoriti in assoluto, era vicino.
inverno. ero a casa di mio cugino carlo, stavamo facendo i compiti. eravamo compagni di classe, prima media. passa il di lui fratello maggiore e parimenti mio cugino paolo, con un mangiacassette in una mano e due cassette nell'altra. "che cosa hai lì?" gli chiedo. paolo, che all'epoca era piuttosto parco di parole, mi porge i due nastri. hanno la stessa copertina, in bianco e nero. una cassetta è bordata di giallo e una di arancio. guardo la costola. capperi, ma è quadrophenia. scorro i titoli, trovo 5:15, e ne trovo un altro, doctor jimmy. è il protagonista? e che è, un dottore? mistero. che si infittisce quando sul diario di paolo fra i tanti nomi di dischi e complessi vedo scritto quadrophenia e sotto "jimmy the mod". e questo chi è, un parente? e che cos'è un mod? mah......
curiosamente, per un bel po' l'unico brano di mia conoscenza di quadrophenia rimase 5:15, questo perché il primo disco degli who che ho comprato è stato "odds & sods", un disco minore nella produzione dei "quattro ragazzi inglesi" e infinitamente più semplice, ma anche l'unico che c'era in quel momento nel mio negozio di riferimento.
il mio a tutt'oggi ininterrotto rapporto con questo magnifico doppio album riprese, o meglio riesplose, un paio di anni dopo, quando comprai il vinile, corredato da un magnifico libro di foto in bianco e nero, e poi il cd, acquistato ad edimburgo.
ho poi capito chi era il protagonista della storia, chi erano i mod e se c'era un dottore.
il disco, soprattutto, mi sta a cuore, perché è stato il primo che ha rivelato il comune sentire mio e di paolo per il rock, che ci avrebbe portato a vivere un'entusiasmante stagione di scoperte. e mi avrebbe anche iniziato, imitando mio cugino, a rempire i diari scolastici con i nomi e le formazioni dei miei eroi musicali.
ah, sono andato a ricercare due foto della versione in cassetta, e ne ho trovata una gialla e una rossa. io, come detto, me ne ricordo una gialla e una arancio. e mi piace ricordarla arancio

http://youtu.be/OR5v4yyPV6Y

venerdì 15 marzo 2013

le vuoi beige? provale rosse! the foot hooker

sono andato in un grosso centro commerciale, oggi. ho un paio di vecchie adidas che porto da venti anni che ahimè devo cambiare, ma solo perché una di esse ha un buco. da diversi mesi sono alla ricerca di un modello simile, quantomeno nel colore (color sabbia diciamo), ma in paese non sono riuscito a trovarlo. eppure mi pareva un colore abbastanza usuale, finanche anonimo. macché. proviamo il negozione.
quindi sono andato al centro commerciale e sono entrato in questo negozio, che vende unicamente scarpe sportive. i commessi - giovanissimi - sono vestiti come arbitri dei campionati di college americani.
appena entro, uno di questi mi fa "ciao! tutto a posto?" tutto a posto? ciao? (a dire lì per lì non mi ero neanche reso conto che l'imberbe si fosse rivolto a me, tanto mi è sembrato incongruo l'approccio)
a parte ma che ca**o vuoi e diamoci del lei, si presume che io sia entrato a cercare un paio di scarpe e non supporto psicologico, e quindi limitiamoci a quello, magari.
"non ho ancora un'idea precisa", ho risposto mentendo. visto che il tipo non si schiodava ho detto che cercavo un paio di scarpe che sostituissero le mie vecchie cross country, ma la cosa importante era il colore, il suddetto sabbia. "non abbiamo molto come cross", fa lui ignorandomi. "ok, ma l'importante è il colore" ribatto inutilmente.
"ma sai - insiste e insiste anche con il tu - non è un colore molto usuale". "ma che ca**o dici", ho pensato, se non è usuale questo, e mi son guardato intorno. sembrava di essere in un negozio di caramelle. pareti di scarpe fucsia, prugna, arancione, celestino, verde, bluette. qualche macchia bianca. niente di grigio/beige, ovviamente
per scrollarmi di dosso il foruncoloso e la sua insistenza, mi provo un paio di scarpe rosse (?). mentre mi infilo le scarpe entra un mio coetaneo, al quale va peggio che a me. "ti vedo disorientato" lo apostrofa una giovane collega del mio nuovo amico in maglietta a strisce. quando è troppo è troppo. "scusami - faccio al commesso - ma queste non sono quelle che cerco", saluto. "ciao, non ti preoccupare" mi fa lui, facendomi capire che se non trovo un paio di scarpe usate alla caritas, dovrò girare scalzo.
ora, io capisco che in queste grosse catene abbiano esclusivamente commessi giovanissimi che possono far lavorare come muli per pochi spiccioli e che sono chiaramente indottrinati su come approcciare il cliente, e che non abbiano margine di manovra in questo senso.
probabilmente questo tipo di aggressiva invadenza, questo porre il cliente in una condizione di inferiorità pagano. oggi hanno perso una vendita, poco ma sicuro
per la nuda cronaca, poco più avanti c'era un altro negozio di sport. sono entrato, nessuno mi ha cagato, ho individuato due paia di scarpe, me le sono provate, e ne ho acquistate un paio. non proprio quelle che cercavo, ma abbastanza vicine.
inutile dire che, uscendo dal centro commerciale, mi sono fermato davanti alla vetrina del primo negozio ostentando il sacchetto del secondo negozio

martedì 12 marzo 2013

catholicism wow. provaci ancora sean

io sono un ateo convinto. ma non un mangiapreti, o mangiapopi o mangiaimam, ecc. e non sono sono così sprovveduto da pensare che il fatto che ci sia un papa o un'altro o nessuno non incida ancorché minimamente sulla mia vita. lo dico perché questa storia dell'elezione del nuovo papa mi sembra che abbia delle caratteristiche un po' diverse da quelle che ho vissuto probabilmente in maniera più distratta le altre volte. dicevo su facebook che l'avvento dei cardinali nordamericani - soprattutto - sta un po' redcarpettizzando quest'elezione. e non lo dico in senso del tutto negativo. probabilmente, anzi sicuramente,  la chiesa yankee ha molto da farsi perdonare e ha un'immagine giovane, ma già da migliorare. e quindi i mass media americani si sono buttati a pesce su questa imprevista (forse) elezione, con la prevedibile conseguenza di trascinarsi dietro, come sempre succede, tutti i mezzi di informazione del mondo. in più, il fatto di proporre due candidature forti, e per così dire condivisibili come quelle di o'malley e dolan, aumenta senza dubbio l'attenzione globale sull'evento. voglio dire, una figura come quella di sean patrick o'malley, il francescano con saio e porpora, che già dal nome potrebbe sembrare un violinista folk irlandese o un poliziotto buono di boston, attrae sicuramente anche un non credente. attrae per esempio anche blog o trasmissioni radiofoniche sicuramente conosciute come "alternative", se mi si passa il termine oramai anni '70. e i nomi dei cardinali favoriti di sicuro circolano molto di più che in passato. questo anche perché la chiesa ha una gran bisogno di presentare un'immagine diversa di sé al mondo. e questo secondo me getta anche una luce del tutto diversa sulle dimissioni di papa ratzinger. nel senso che non escluderei il fatto che un pontefice unanimamente riconosciuto come comunicatore non eccelso sia stato invitato a farsi da parte in favore di un personaggio più incisivo e più utile ad una riaffermazione politica e d'immagine della chiesa globale. come gli americani, di cui sopra, o il giovane filippino tagle, oppure il brasiliano scherer. nomi che suscitano anche curiosità, ma dei quali è bene essere informati. perché ad esempio da laici potremmo salutare con favore l'elezione di un papa di una nazione emergente come il brasile, se non che il buon odilo pedro è un fiero super tradizionalista. oppure è bene sapere che il ciellino scola è stato consigliere del cavaliere. 
quindi al di là di certi esotismi, c'è poco da star tranquilli. qualcosa cambierà, anche per i non credenti, non sappiamo ancora se in meglio o in peggio
io comunque tifo o'malley. o tagle. grazie signo'

ps non so se avete mai visto il film dogma di kevin smith. fatelo. e ditemi che george carlin non è uguale a o'malley

martedì 5 marzo 2013

io tu noi tutti. il nuovo che avanza. a balzi


15 milioni e più di italiani vanno senz'altro presi in considerazione. anzi, come citava un vecchio lp di elvis, "millions of fans can't be wrong". si potrebbe obiettare che miliardi di fans della cacca sono sicuramente wrong, ovviamente non si può paragonare elvis alla materia fecale, ma il movimento 5 stelle agli altri partiti sicuramente si. anche perché moltissimi voti vengono da ex degli altri schieramenti, oltre a tanti penso, dai neo votanti. quindi non si possono ignorare 15 milioni di compatrioti, presenza indubbiamente ingombrante, in tutti i sensi. che sarebbe potuta diventare più numerosa e di conseguenza ancor più ingombrante con una campagna elettorale un pochino più sobria. ma giusto un pochino. perchè le istanze portate avanti da grillo e i suoi seguaci, sono quasi tutte largamente condivisibili. acqua e sanità pubblica, tagli alla politica, trasparenza, meritocrazia, per dirne alcune. non lo seguo sul terreno di una autarchia e di una decrescita che mi puzzano sinistramente di ventennio o sul distruggere l'esistente tout cour. non lo seguo soprattutto sul modo di porsi, così aggressivo e anche sprezzante. io tendo a rifiutare le cose anche giuste dette male o in malo modo. sarà un limite , o forse snobismo, ma ci posso fare poco.
la riunione romana degli eletti certo ricorda un po' la gita delle medie o della parrocchia, o, peggio, le convention delle società di vendita multilivello. ma aspettiamo a giudicare, e cerchiamo di reprimere il sorrisetto di sufficienza. e non calchiamo troppo la mano neanche sulle parole della neo capogruppo alla camera, più ingenue e inavvedute che pericolose. aspettiamo, non tanto, ma aspettiamo. ma una cosa però mi va pochissimo giù. ed è la continua, insistita, ossessionante, divisione, anzi contrapposizione, fra noi e loro. loro sono morti, loro devono andare a casa, loro non capiscono. noi siamo la ragione, loro il torto. in campagna elettorale poteva anche andare bene, ma ora siamo con le carte in tavola, ora c'è da fare qualcosa, c'è da rendere conto ad un – vasto – elettorato. che non coincide esattamente con i militanti duri e puri (che mi ricordano un po' i ragazzi di mamma ebe, ma lasciamo stare), e con i candidati. un elettorato consolidato e potenziale, se riandremo alle elezioni, che rischia davvero di non capire se si trova fra i noi o fra i loro, se potrà beneficiare delle mosse di grillo. o se questi benefici, se ci saranno, saranno riservati a un noi, non ancora ben definito. insomma, c'è un popolo, o c'è il tuo popolo?
io che non ti ho votato, ma che voglio che le cose cambino, che non sono d'accordo con i tuoi atteggiamenti, ma concordo con diverse cose che dici, che credo che destra e sinistra esistano ancora, ma che non mi ritrovo troppo in questa sinistra, ebbene, io sono noi o sono loro?

venerdì 22 febbraio 2013

chiedi chi erano i mumford. ma non a me


mia figlia – 13 anni – parlando degli ultimi brit awards, mi ha informato che il premio come miglior band britannica era stato vinto dai mumford & sons. cosa che va anche bene, il gruppo è (abbastanza) interessante, ha riportato in auge un certo folk, hanno il banjo, ecc. ecc. la cosa che mi ha fatto riflettere, è che i tizi hanno vinto sugli one direction e sui muse. che è come far competere nella stessa categoria un a pera, un autogru e un album da disegno. oppure un cavallo, un castello medievale e uno spinterogeno. ovverosia tre cose che non dovrebbero entrarci niente l'una con l'altra. infatti l'indomani la presentazione, la tribù planetaria dei, o meglio delle, directioners, si interrogava sgomenta su chi fossero i barbudos che avevano scippato la corona ai loro principini. Se non avete idea di caspita siano i, o soprattutto le, directioners, vuol dire che non avete figlie adolescenti. gli one direction sono la boy band del momento, cinque inetti sui vent'anni che ne dimostrano quindici, e i loro fans si fanno per l'appunto chiamare directioners. e l'interrogativo non è per nulla peregrino. perchè se i cinque incapaci avessero perso, che so da ed sheeran o dagli emblem three (idoli per teen agers, non vi sforzate ad andare a cercare chi siano), l'avrebbero capito, anche se non accettato. ma i mumford & sons e i muse che ci azzeccano? e invece ci azzeccano, evidentemente, e questo solleva secondo me diverse questioni. qualche anno fa le tre band avrebbero gareggiato in tre categorie diverse, sicuramente. altrimenti sarebbe stato come se, per dire, chi dovere avesse dovuto scegliere fra sex pistols, queen e muppets. inconcepibile. oggi invece la cosa è evidentemente concepibile, e questo in primis ci fa supporre che le differenze fra i tre gruppi siano in realtà molto sfumate e che il genere musicale così come lo intendevamo non esiste più. si, perché è inutile che una formazione ancorchè valida come i mumford & sons venga sbandierata come il nuovo che avanza e che si millanti una loro durezza e purezza, dal momento in cui accetta di buttarsi – perchè le conviene ovviamente – nell'agone insieme ai cinque imberbi. e anche i muse non sono nè i nuovi queen, o nuovi u2 o nuovi quel che vi pare. alla fine nonostante il loro strepitare saranno ricordati più probabilmente come i nuovi take that, perché sono personaggi pop e stop, e la musica che fanno (neanche bene, ma questo è solo un mio parere) conta zero. non fossero stati personaggi da rotocalchi, col piffero che l'insignificante matthew bellamy avrebbe accalappiato kate hudson.
boh, alla fine qualcuno dirà che è giusto così, cheè democrazia, globalizzazione. ma a me non torna che ci siano molti che hanno nel loro lettore muse, one direction e mumford in fila. perchè mi hanno insegnato che non si confrontano le mele con le pere, e, come dice un vecchio adagio, se ti metti a discutere con uno stupido, la gente potrebbe non notare la differenza. e non ho detto che gli stupidi siano i cinque bambocci

lunedì 18 febbraio 2013

qualcuno deve pur averci presentato (primi incontri – casuali o meno e non sempre capiti – con i miei compagni di viaggio)

3. appendice a
http://giannozzo.blogspot.it/2013/02/qualcuno-deve-pur-averci-presentato_9858.html

dopo aver ascoltato fire and water con grande insistenza, decisi che avevo bisogno di ascoltare qualcos'altro dei free. e mi misi in cerca. per un ragazzino di 12 anni che vive in una cittadina di provincia negli anni 70, non c'erano naturalmente tutte le fonti di approvigionamento musicale che ci sono adesso. ma tant'è. forte della mia paghetta, mi recai armato di giovanile ottimismo nel negozio di dischi - praticamente l'unico - che frequentavo e dove avevo comprato quasi tutti i long playings che possedevo. forse non era molto, non lo so, ma per la sete di musica e gli orizzonti che avevo da esplorare allora, lo era eccome.
comunque, dopo un certo scartabellare, trovai qualcosa. c'è da dire che il "certo scartabellare" durava e dura tutt'ora molto più del previsto. rovistare negli scaffali dei dischi è sempre stata una delle più grandi gioie della mia vita, paragonabile veramente a poche altre, per quanto mi riguarda.
quello che trovai fu "the free story". avevo letto su ciao 2001 che era un'antologia ed era un doppio lp. ero quindi pronto al gravoso esborso finanziario. l'album era sigillato piuttosto stretto e il retro non riportava i brani contenuti. detti quindi i soldi alla signora nedì, che mi dette l'equivalente resto di un disco singolo. dopo qualche minuto necessario a fare il calcolo (ho problemi serissimi con la matematica), e non, lo giuro, a soppesare l'eventualità di approfittarmi dell'errore, dissi candidamente alla signora che aveva sbagliato resto. la signora nedì mi ringrazio' e ricompensò la mia onestà con 1000 (mille) lire.
indovinate chi era quel sabato pomeriggio il ragazzino più contento del mondo

domenica 17 febbraio 2013

qualcuno deve pur averci presentato (primi incontri – casuali o meno e non sempre capiti – con i miei compagni di viaggio)


2. free, acqua fuoco e cioccolato


doveva essere la primavera del 1974. forse del 1975, ma primavera lo era. andai a casa di un mio compagno di classe. questo mio compagno aveva un fratello più grande che al momento viveva a roma. il suddetto fratello aveva però lasciato qua la sua batteria rossa e la sua collezione di 33 giri. non mi fu praticamente permesso ahimè di suonare la batteria - una hollywood - ma mi venne concesso di portare a casa alcuni di quei dischi da ascoltare. mi ricordo nitidamente la consistenza di quei dischi, le copertine massicce. ne presi 4: mad dogs & englishmen di joe cocker, sssh! e cricklewood green dei ten years after e fire and water dei free. i primi tre avevano copertine colorate, forse più simili a quelle che mi erano capitate fra le mani fino a quel momento, magari più anonime. da quella dei free, quattro giovani capelloni mi guardavano in maniera un po' sfrontata. ok, mi dissi, mettiamo questo, e facciamo merenda. premessa. nella mia ancor breve carriera di fanatico del rock, mi ero dedicato, diciamo pure incaponito, con il progressive. e quindi mi ero trovato alle prese più che altro con suoni piuttosto astrusi ancorchè affascinanti per un ragazzino. per sovrammercato tali suoni venivano da fonti sonore approssimative: un registratore a cassette sanyo, un minuscolo giradischi europhon che spariva letteralmente sotto al disco. tutto questo rendeva l'esperienza auditiva forse un po' faticosa, anche se questo non scoraggiava il vostro piccolo eroe.
in ogni caso, metto il disco sul piatto, e mi accingo ad adddentare un biscotto al cioccolato. mentre mi pregusto il suddetto biscotto, vengo letteralmente investito dai primi suoni di fire and water, il brano che dà il titolo al disco. mi ricordo che la cosa mi colpì molto, tanto da farmi rimanere con il biscotto a mezz'aria. non che altri incipit non mi avessero impressionato, questo no. ricordo ancora quando misi la cassetta di selling england by the pound ed ebbi la benedizione della voce nuda di peter gabriel, o l'inizio roboante di into the fire dei deep purple. ma qui, era tutto diverso. il disco inizia con alcuni semplicissimi accordi di chitarra elettrica. abituato com'ero a sonorità molto più arzigogolate, mi ricordo che pensai "cribbio (non era proprio cribbio, neanche ca**o, all'epoca ero ancora molto educato. diciamo una via di mezzo) ma allora esiste anche qualcos'altro. e certo che esisteva. avevo in un colpo solo scoperto il rock blues, quello che sarebbe diventato forse il mio gruppo preferito, il mio cantante – senza forse - preferito e la piena consapevolezza dell'importanza fondamentale ed imprescindibile del basso nella musica moderna. e tutto in un disco solo.
va detto, sono legato tantissimo anche gli altri dischi che presi in prestito, rifare mad dogs & englishmen è uno dei miei sogni nel cassetto. ma l'amore che mi lega ai free dal quel giorno di primavera del 1974 (o 1975), è un vincolo veramente speciale. non ho avuto il privilegio di vederli dal vivo, si sono sciolti nel 1973 e il chitarrista paul kossoff sarebbe scomparso nel 1976. ma ho avuto l'ardire e la fortuna di provare a cantare o suonare tante loro canzoni. ed è sempre un'emozione speciale, l'emozione della semplicità, dell'essenza del rock.
ah, poi il biscotto l'ho mangiato, non vi preoccupate. anche ai biscotti al cioccolato sono molto legato.

giovedì 14 febbraio 2013

non urlare, ti sento. my personal sanremo


io nonostante tutto sono ancora parecchio affezionato al festival. a molte canzoni degli anni 60 e 70 sono ancora piuttosto legato, e posso anche dire che mi hanno formato. anche negli anni 80 e 90 qualcosa di dignitoso si è sentito. negli ultimi anni l'avvento dei reality e dei talent show, oltre al ruolo di sostanziale sottofondo per immagini che la musica leggera è stata costretta ad assumere, hanno drasticamente impoverito l'offerta della kermesse canora (come si dice oggi) e anche il mio interesse per essa. unito al fatto che invecchio, naturalmente, ma questa è un'altra storia. in più da quando il festival è diluito in cinque serate è diventato francamente oneroso seguirlo, e così questi ultimi anni sono scivolati via senza lasciare tante tracce, perlomeno per me.
quest'anno sono riuscito a seguire le prime due serate, quelle riservate ai cosiddetti bigs e quindi, già che ci sono, vi dico come le ho sentite.
premetto che le ho sentite male. nel senso che, in generale ho un problema, con il suono pop moderno, in cui le voci son troppo troppo alte rispetto agli strumenti e, dato che le canzoni odierne sono fatte per essere sentite principalmente su personal players e computers attraverso cuffiette e piccoli altoparlanti, hanno un suono finale, quello tipico da mp3, che non mi piace, anzi mi disturba anche un po'. sarà anche una fisima da vecchio trombone abituato agli hifi vintage, ma tant'è.
in più, e non sono stato il solo a rilevarlo, dalla tv il suono dell'orchestra giunge molto compresso, le voci sono in primissimo piano, e questo naturalmente non aiuta intonazioni non sempre calibratissime e interpretazioni spesso non memorabili.
quindi, tutto questo premesso e dato un unico ascolto, ecco quello che le 28 (maremma, parecchie) canzoni, mi hanno lasciato.

almamegretta. mai stato un fan di raiss e compagni. li ho sempre trovati troppo ammiccanti e piacioni verso un tipo di pubblico, soprattutto femminile, culturalmente avvertito. comunque, figura dignitosa. meglio il brano da loro scritto, che quello scritto dagli zampaglione, un cocktail indigeribile per me
annalisa. ne ignoravo bellamente l'esistenza fino a ieri. nonostante la vocalità troppo talent, il brano scintille mi è piaciuto, anche se forse un po' troppo pretenzioso per la bimba. quell'altro era veramente da amici, nel senso di de filippi.
chiara. quando di un cantante si dice, però è bravo, però senti che voce, potrebbe cantare anche l'elenco del telefono, io avverto sempre un problema. io voglio sentire cantare una canzone, non un elenco. inoltre, come detto prima, le nuove eroine della voce, cantano ad un volume troppo alto, e questo mi disturba. fra televoto e autore (il re mida bianconi) immagino che il futuro che verrà arriverà in alto. non mi piace, ma il pezzo ovviamente funziona. anche l'altro.
daniele silvestri. non ce l'ho mai fatta con daniele. ha tutta la mia stima, intendiamoci, ma, non so se è un fatto generazionale, l'ho sempre trovato troppo da liceali, universitari al massimo, per metterlo insieme o vicino ai cantautori che l'hanno preceduto. la musica non mi ha mai intrigato e mi è sempre sembrata messa in secondo piano rispetto a i testi. le canzonette tipo salirò o la paranza poi non mi hanno mai toccato. il bisogno di te appartiene a questa categoria, mentre a bocca chiusa, una bella canzone, mi fa troppo clichè, compreso il baffone che interpreta la lis (lingua italiana dei segni) in modo troppo teatral- centrosinistra.
elio e le storie tese. vabbè, un gigante fra i nani. come una squadra d nba nel campionato italiano di basket. dannati forever sembra già un classico del loro repertorio, la canzone mononota, un imbarazzante prova di onnipotenza strumentale, letteraria ed interpretativa. zio frank sarebbe contento.
malika ayane. lei mi viene a noia dopo tre secondi, i negramaro, insieme a jovanotti, li considero la massima jattura per la musica di casa nostra.
marco mengoni. peccato, la voce mi sembra bellissima. ma il ragazzo non sa cantare, nè stare sul palco e i pezzi sono quelli che sono. compreso, anzi mi sembrava il peggiore, quello scritto da pacifico e nannini.
maria nazionale. con la musica napoletana bisogna andarci cauti. nel senso che da non napoletani forse si giudica male. detto questo, la tipa canta, i brani sono dignitosi, gli autori ci sono, e lei li ha interpretati in maniera molto personale. anzi penso che quello degli avion travel sarebbe stato secondo me peggiore cantato dall'ammiccante servillo (peppe).
marta sui tubi. francamente si sentiva troppo male per dare un giudizio compiuto. non sono neanche un grande fan dell'indie rock (se esiste), troppo autoreferenziale e supponente. quindi non saprei che dirvi. il look era imbarazzante, se serve, il tipo pelato urlava troppo, e le due canzoni mi son sembrate pressoché uguali.
max gazzè. max è probabilmente il mio cantautore italiano contemporaneo preferito, e un musicista con i controfiocchi. una musica può fare è uno dei pezzi più belli degli ultimi sanremo, e anche il solito sesso si ascoltava. penso però che il suo meglio lo abbia già dato. e anche questi due pezzi lo testimoniano. anche se piuttosto nel suo stile, il primo era un po' troppo morgan, l'altro non memorabile. comunque forza max.
modà. ma per piacere.....
raphael gualazzi. non penso che il ragazzone sia il genio quel pianoforte che dicono, ma ci sa fare. l'audio non l'ha aiutato, ma il brano sai mi è piaciuto molto, piuttosto billy joel ma sufficientemente personale. di più, è il mio brano preferito del festival. e anche l'altro discreto, direi.
simona molinari. la tipa secondo me ha commesso due clamorosi autogol, presentandosi in minigonna e con peter cincotti, dato che non sarebbe una cantante pop jazz neanche con un audio migliore. cincotti, onesto mestierante americano, sembrava il suo insegnante, e temo che le sue gambe – di simona non di peter – rimarranno più impresse della sua interpretazione.
simone cristicchi. non mi piace, ha un modo di cantare e di presentarsi che non sopporto. in più mi è sempre sembrato che si appropriasse di argomenti alti senza rendere loro un servizio adeguato. pure nel suo caso devo dire che la resa audio lo ha danneggiato, anche se in mi manchi le stonature erano evidentissime. due brani nel suo stile.
sui giovani non mi pronuncio. primo perché da vent'anni sono purtroppo una delusione totale, secondo perché ci sono diversi bigs che dovrebbero passare secondo me prima da tale categoria e poi approdare fra i seniores.
domani – venerdi 15 dicembre – sarà la serata delle covers. alcune si preannunciano interessanti, gualazzi che rifa' luce, gazzè in ma che freddo fa, silvestri che affronta piazza grande. 
altre da brividi di raccapriccio, come i modà che rifanno io che non vivo, o mengoni in ciao amore ciao.......
ma la scontatissima standing ovation sarà per chiara che urlerà almeno tu nell'universo. ahimè

lunedì 11 febbraio 2013

ad ogni dimissione di papa

ho avuto modo di vedere dal vivo, diciamo così, due papi in vita mia. il primo fu paolo VI (o paolo vì come lo chiamò mike in un leggendario rischiatutto), durante una gita delle medie. lo vidi passare sulla portantina nella basilica. sebbene, se non ricordo male, fossi piuttosto lontano e la chiesa fosse stracolma, mi dette l'impressione di essere vecchissimo.
poi, ho visto benedetto XVI, lo scorso dicembre, questa volta in sala nervi. in questo caso ero seduto piuttosto vicino, dato che mi ero esibito con la badabimbumband poco prima davanti alla sua sedia (vuota) e quindi avevamo dei posti riservati. nonostante l'entrata da star, grazie soprattutto al quasi isterico entusiasmo dei papa boys, e la camminata a passo piuttosto spedito, la tecnologia moderna - i maxischermi - ci hanno rivelato, come quasi quarant'anni fa, un papa altrettanto vecchissimo. è vero, ho visto con i miei occhi, ratzinger rabbonire un leoncino un po' irrequieto, ma l'impressione è stata proprio quella dell'estrema vecchiezza. che è un po' l'età che di solito associamo alla figura papale. 
fatta eccezione per papa woytila che fu eletto, papalmente parlando, giovanissimo, se ci pensiamo bene, gli ultimi pontefici ci tornano alla mente come teneri vecchietti. giovanni XXIII, paolo VI, papa luciani. e anche lo stesso woytila. nonostante i primi anni del suo peraltro lunghissimo pontificato, nei quali del papa si sottolineava spesso la verve sportiva (riguardatevi per esempio il papocchio di renzo arbore), del papa polacco con tutta probabilità si ricorderanno gli ultimi anni, in cui era vecchio e malato.
e questa associazione mi ha fatto riflettere.
è vero, che si dovrebbe arrivare a fare i papi dopo una lunga esperienza porporata, però è anche vero, e le dimissioni (si possono chiamare così?) del pontefice twittante forse lo dimostrano, che il papa ha parecchio da fare, soprattutto in questo secolo.
quindi, dopo l'aitante woytila degli inizi che si dette piuttosto da fare - permettemi di dire pure troppo - ci si aspettava un papa fisicamente all'altezza, se non del predecessore, del compito. e ratzinger all'inizio lo sembrava - ripermettetemi di dire pure troppo - un po' per la parlata teutofona, un po' per il suo passato di strenuo conservatore.
quindi, il fatto che abbia abdicato dopo soli 8 anni, desta senz'altro un po' di meraviglia.
anche perchè i tempi rispetto a quelli di celestino, sono un pizzico diversi
non voglio e non mi interessa fare dietrologia, ma ripeto, è un gesto che secondo me merita una riflessione, perché sgretola diverse certezze.  in primis, perchè, figura inedita, ci troviamo di fronte ad un ex papa, e poi viene minato alle fondamenta, uno dei detti popolari più antichi e più usati.  quello sulla morte del suddetto. vale anche l'ex, per dire?
un fatto però ci consola. che il papa abbia lasciato in latino e non con un twit.
deo gratia

sabato 9 febbraio 2013

l'importanza di chiamarsi ernesto. o brenda. o anche zoe


in radio oggi si macina di tutto. sto parlando di musica. tanto presunto rock, spesso posticcio, rap più o meno dozzinale, romanticherie zuccherose, ballabili (come si diceva una volta) variamente insopportabili. in questo mare minimum di sonorità standardizzate, c'è questa canzone che in qualche modo mi era saltata all'orecchio http://youtu.be/Tlj0SZUB-l8. il pezzo è cantato da brenda boykin. il nome mi diceva qualcosa, ma non capivo o non riuscivo a ricordare cosa. mi sono messo a scartabellare i miei dischi, e l'ho trovato. un disco del 2000 di un gruppo chiamato home cookin', la cui cantante – come la copertina segnalava ampiamente - era per l'appunto brenda boykin. nulla di particolare fin qui. mi spinge a raccontare di questa cantante il fatto che il disco mi fu dato dal mai troppo compianto ernesto de pascale. all'epoca lavoravo a radio fatamorgana, e fui invitato alla presentazione del disco in questione. la presentazione si teneva a firenze, perchè ernesto aveva deciso di far uscire il lavoro per la sua etichetta, il popolo del blues, dando ulteriore prova, se ce ne fosse stato bisogno, del gusto, il fiuto, il coraggio che hanno contraddistinto la sua troppo breve carriera di giornalista, produttore e musicista.
il gruppo, un quartetto, era presente al completo, all'incontro che si teneva in un locale fiorentino che si chiamava come mia figlia, che all'epoca aveva un anno. scherzammo molto con brenda e gli altri su questa coincidenza, tanto che gli home cookin' con grande gentilezza e simpatia, autografarono il cd dedicandolo a me e mia figlia. brenda si disse certissima che lei sarebbè diventata una "music lover". ho ancora a casa la tovaglietta con il nome del locale (e di mia figlia).
brenda ha continuato a cantare anche dopo gli home cookin' costruendosi una solida fama in america, in particolare nella bay area da cui proviene.
averla ritrovata, quasi per caso, grazie o a causa dei meccanismi più o meno misteriosi che fanno si che in una scaletta questo pezzo venga trasmesso fra mica e jovanotti, mi fa molto piacere. mi fa piacere ritrovare brenda e spero che questo brano induca qualcuno ad ascoltare gli altri suoi dischi. mi fa piacere ripensare e ricordare ernesto de pascale, l'influenza e l'ispirazione che che ha avuto ed ha su tutti quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e frequentarlo. e mi fa piacere che mia figlia, che suona il violino, fra gli one direction e justin bieber nel suo i pod abbia 40 canzoni dei beatles. grazie brenda. grazie ernesto. e grazie zoe

martedì 5 febbraio 2013

in boss we trust

la casa dove abito si trova nel quartiere più agiato e conservatore della città, e la parrocchia che lo rappresenta è forse la più integralista di tutte. l'anno scorso, al momento della benedizione pasquale, mi suona alla porta il parroco. "sono qui per la benedizione". lo faccio accomodare. "ah, che bella casa, quanti libri, quanti dischi" ecc. ecc. "guardi, io non sono credente, ma la padrona di casa lo è, quindi se le fa piacere benedire la casa, penso faccia piacere anche a lei, ed io non ho nulla in contrario. il prete, un uomo sulla quarantina, ci pensa un po' su e poi "beh, ho molto da fare, ci sono tante case da visitare, arrivederci" "arrivederci, grazie". ha benedetto cinque appartamenti su sei, forse come media gli bastava, boh.
mezz'ora fa, suonano alla porta. quello che mia nonna avrebbe definito un pretino, in giubbottino nero da trekking e clergyman, mi chiede se voglio la benedizione. gli rifaccio lo stesso discorso che feci al suo collega, o superiore. nota anche lui i dischi, parliamo un po' di musica, così in generale. poi mi fa 
"se per lei va bene, io benedirei la casa, anche perché sono un grande fan di lui" e prende un libro su bruce springsteen. "l'ho visto a firenze". "sotto l'acqua". "non la sentivo neanche"
breve silenzio in onore del boss. "reciterebbe un padre nostro con me?" fa lui. "preferirei di no". "va bene allora se permette leggo un brano a caso dal vangelo". "va bene". e dal vangelo di matteo mi legge di barabba. parliamo un po' del brano, lui non chiama barabba brigante o ladrone. "era una sorta di terrorista" dico io. "si, anche se dipende da chi vince la guerra, per dire che uno è terrorista". detto questo, benedice la casa, fa il suo sermoncino, parliamo un po' di jesus christ superstar e se ne va.

apocalypse postilla

in uno spot pubblicitario di uno di questi attrezzini per il test casalingo di gravidanza, si vede l'attrezzino in questione in primo piano: sul display non appare più la evdentemente troppo enigmatica sbarretta blu, ma una scritta che dice "INCINTA".
che vi avevo detto?

http://giannozzo.blogspot.it/2013/02/apocalypse-express.html

lunedì 4 febbraio 2013

apocalypse express


qualche anno fa pensavo che la civiltà occidentale non sarebbe durata più di qualche decennio ancora. oggi sono molto meno ottimista. me ne sono convinto guardando lo spot pubblicitario di un macchina per il caffè espresso, uno dei massimi simboli del declino della civiltà occidentale, soprattutto da quando uno dei suoi più celebri testimonials ha deciso di farsi stirare gli zebedei. questo piccolo elettrodomestico, realizzato oggi nelle fogge, colori e materiali più avant garde possibili è diventato un oggetto assolutamente indispensabile in ogni moderna casa occidentale – ma forse anche orientale – che si voglia definire tale. prima di tutto il caffè, soprattutto all'italiana, è assurto ancor di più al rango di irrinunciabile piacere quotidiano (unito al cioccolatino da gustare con voluttà sulla chaise longue di le corbusier) e di non negoziabile panacea di tutti i mali. ma naturalmente nei tempi e modi voluti dal ritmo frenetico della vita moderna, come diceva il poeta. e poco male se l'autenticissimo 100% arabica viene estratto da una capsula di plastica riempita chissa come. Ma volete mettere tornare a casa dal vostro ufficio in pieno centro, slacciarvi la cravatta, essere accolti da vostra moglie che ha appena terminato le pulizie di casa in abito da sera e tacco 12, che vi sussurra languidamente "vieni, non rinunciare al piacere di gustare un buon caffè, premendo un solo tasto". eh, son soddisfazioni. che vi volete mettere a mettere l'acqua nella moka, poi metterci il caffè in polvere, magari metà lo spargete nell'ambiente, perché, si sa è un 'operazione difficile, avvitare, mettere sul fuoco, aspettare. no, non si può. anche perché magari avete fatto lo stesso tragitto fino a casa impostando il navigatore, dopo avere chiamato i numeri di telefono che chiamate tutti giorni impostandoli dalla rubrica, e avete anche lasciato che la macchina vi guidasse nel parcheggio. quindi, nell'attesa di un chip nei vostri vestiti che li convinca a sfilarsi da voi da soli, possiamo con tutti i diritti permetterci una macchina per il caffè, e qui veniamo alla pubblicità di cui accennavo all'inizio, che funzioni in modo intuitivo.
intuitivo? ma che deve intuire? già c'è solo da mettere una cialda in una fessura modellata e pigiare un tasto. c'è bisogno anche dell'aiutino? riusciremo poi a trovare la bocca?
che c'entra, anch'io ho un cellulare con un sacco di numeri memorizzati ed uso il navigatore satellitare, ma è anche vero che non mi ricordo più un numero di telefono e che mi faccia fatica consultare una carta stradale. fatica. ecco il busillis. ci fa fatica fare tutto. ci fa fatica capire chi sia quello che parla in tv, ed ecco il sottopancia che ci dice immediatamente chi sia quello che cje blatera in quel momento, famoso o sconosciuto che sia, meritevole d'ascolto o meno. ci fa fatica ricordare dove abbiamo già visto quell'attore – magari qualche mese prima – ed ecco che il trailer pomposamente ci annuncia che è stato il protagonista di, che il regista è quello che ha diretto il film x e che il barista è lo stesso che ha servito i drinks nel film y. abbiamo bisogno di idoli ed eroi che durino pochi mesi, così non dobbiamo fare la fatica di ricordare. e se vogliamo vincere un telequiz, che sia per puro culo
vogliamo governare e gestire tutto con un dito, quel dito che non riusciamo più a toglierci dalla tasca – se non da un'altra parte. quel dito che magari un giorno di questi premerà il pulsante dell'auotodistruzione. in modo intuitivo, naturalmente

domenica 3 febbraio 2013

qualcuno deve pur averci presentato (primi incontri – casuali o meno e non sempre capiti – con i miei compagni di viaggio)


piccola introduzione

ho incontrato il rock molto presto. non presto la mattina, ma proprio presto nella vita. erano gli anni 70 e probabilmente era più facile rispetto ai giorni nostri. ce n'era tanto di più in giro, ed era anche migliore. un po' come dice oggi keith richards per le droghe, se vogliamo.
in ogni caso già a sette/otto anni qualche 45 diciamo "off" si insinuava fra quelli che sceglievo da una cassetta di legno nel negozio di elettrodomestici e infilavo nel mio mangiadischi arancione e che provenivano da sanremo e canzonissima. poi è arrivata la radio e il rock (o pop come si diceva allora) mi ha travolto ed ancora sono – per fortuna – nell'occhio del ciclone. ma di questo ho già parlato anche qui. in questa rubrichetta, che non avrà andamento nè cronologico nè tantomeno regolare, voglio parlarvi di come ho incontrato canzoni, musicisti, generi, personaggi, dischi, concerti. e di come mi vada di condividere questi incontri con voi, perchè, per dirla con mr. zimmermann, ho riportato tutto a casa.
ringrazio veramente tanto francesca pizzo per l'idea

post scriptum: questi piccoli resoconti saranno per tanti (e)motivi imperfetti e lacunosi, perché non frutto di una indagine scientifica o di una ricerca da archivista, ma semplicemente di quello che mi ricordo, chiunque abbia voglia di contribuire a collocare meglio e con più precisione nel tempo e nello spazio questi flashbacks, è benvenutissimo


1. le orme, la bimba e la piovra

un incontro decisivo per me. due volte decisivo. comprai il 45 giri gioco di bimba quando uscì, nel 1972. avevo 10 anni, non mi ricordo se l'avevo sentito in tv o se mi aveva colpito la celebre copertina disegnata da walter mac mazzieri. in ogni caso la canzone mi piacque subito e la voce suadente di aldo tagliapietra, il tempo di valzer, i timbri delle tastiere e delle campane tubolari ( uno strumento il cui suono all'epoca mi rapiva letteralmente) contribuivano a tenere il 45 dentro al mangiadischi. probabilmente non lo identificavo ancora come rock, ma già intuivo che si trattava di qualcosa di diverso dai pooh, per esempio, che comunque mi piacevano ugualmente. lo intuivo soprattutto quando ascoltavo il retro, figure di cartone, che mi inquietava non poco, soprattutto con quello strumento che ruggiva, e che poi avrei scoperto essere un sintetizzatore moog.
e poi le orme erano un gruppo, ed io già adoravo i gruppi, mi piacevano questi capelloni che suonavano: li disegnavo continuamente sui miei quaderni e spesso quando alscoltavo le canzoni, avevo un complesso immaginario che le eseguiva. io ovviamente facevo tutti gli strumenti, ancora non avevo uno strumento favorito da suonare. la botta decisiva me la dettero sempre le orme, due anni dopo.
avevo già iniziato ad ascoltare rock in maniera un pochino piu' consapevole grazie ad un mangiacassette ed alla radio, ma essendo ancora un ragazzino con il grembiulino nero, non avevo mai partecipato ad un concerto. un concerto rock dal vivo, intendo. per il mio battesimo del fuoco dovettero concorrere tre fattori determinanti. prima di tutto la scelta delle orme di includere empoli nella loro tournèè (scelta peraltro reiterata qualche anno più tardi). poi, il fatto che all'epoca c'era l'uso di fare un concerto pomeridiano ed uno serale. altri tempi, altri uomini. ultimo, e non ultimo, il fatto che il padre di un mio compagno di classe fosse l'allora direttore del cinema excelsior, luogo in cui era previsto il concerto. quindi, dati tutti questi elementi, il mio compagno di classe, sua mamma ed io entriamo (gratis) nel cinema per assistere al concerto. per il fatto che eravamo per così dire degli invitati ci fanno accomodare non in platea, ma su uno dei balconcini che guardano il palco dall'alto. all'inizio la cosa mi indispettì un po', perchè, sebbene fosse il mio primo concerto, avrei voluto essere in qualche modo al centro dell'azione, e lassù mi sentivo un po' isolato.
ma quando alle 16 le orme salirono sul palco benedissi la casualità che mi aveva portato lassù. dall'alto della mia posizione ora posso dire privilegiata, potevo vedere perfettamente michi dei rossi circondato dalla sua batteria. era una ludwig, il leggendario modello octaplus. il nome, un gioco di parole derivato da octopus (piovra), voleva significare che la batteria aveva otto tom (tamburi, cioe) che avvolgevano totalmente il batterista. mi isolai quasi totalmente per magia da tutto il resto e mi concentrai per due ore sull'indiavolato michi e sul suo magico strumento, tirando un po' il fiato solo quando aldo tagliapietra imbracciava la 12 corde per stemperare la tensione elettrica del concerto.
alla fine, ero quasi più esausto di michi, ma ero felicissimo. di aver visto il mio concerto – di cui non capii quasi nulla – e di aver scelto il mio strumento. o fu quello a scegliere me?
una bimba mi aveva ammaliato due anni prima e ora la piovra mi avvolgeva nelle sue spire. fregato, per la vita



sabato 2 febbraio 2013

il nome della cosa


ho visto un film giusto ieri (neanche un granchè, per la verità, ma questo non deve, o dovrebbe cambiare la sostanza),e nei titoli di testa ho notato una cosa che mi ha fatto pensare. male, ovviamente.
ebbene, nei titoli si dice che il film è tratto da un' opera letteraria di qualcuno, non è importante chi. capperi. un'opera letteraria? e che cos'è un' opera letteraria? e che si intende nella fattispecie? a scanso di equivoci sono andato a controllare. ebbene, il film è tratto da 196 pagine scritte da un rispettabile giornalista italiano stampate e pubblicate da una famosa casa editrice italiana. un libro.
ora, l'avevo capito anche prima che si trattava di un libro. però, mi son detto, visto che qualcuno si è preso la briga di definirlo opera letteraria, magari è qualcosa di diverso, di più alto, che magari può sfuggire alla mia comprensione. macché, è un libro. un oggetto comunissimo ma straordinario, come la divina commedia o l'autobiografia di josè mourinho. volendo si possono definire sempre opere letterarie, ma ray bradbury in farenheit 451 li chiama libri, non opere letterarie, eppure sta parlando delle cose più preziose da difendere.
e allora, dove sta l'inghippo? complesso di inferiorità? di superiorità? fumo negli occhi? c'è qualcosa che mi sono perso o non capisco? e dunque il fatto di trovarmi di fronte ad un'opera letteraria, dovrebbe cambiare la mia disposizione d'animo, mettermi per dire in uno stato di vaga soggezione?
è un po' come quando si parla di graphic novel. graphic novel, che affascinante definizione. questo film è tratto da un graphic novel. ri – capperi. ma da quando non si chiamano più fumetti? dov'ero io quand'è successo? perché fumetto è brutto e graphic novel è bello? Quelli della marvel, di moebius o di frigidaire erano – sono - capolavori, ed erano – sono – fumetti.
e allora? si cercano definizioni nuove e più affascinanti per arginare o più probabilmente camuffare il montante imbarbarimento contemporaneo? si cerca una bella confezione per un contenuto più povero? e perché c'è questa sorta di latente vergogna, o imbarazzo, per quello che si fa, e si cerca di ridefinirlo? succede la stessa cosa con i bar. nessuno più, da tempo, apre un bar. giammai. Si apre un caffè. e se si ristruttura un vecchio bar (sempre sia lodato), quando riapre, diventa per magia un antico caffè. come se questo rendesse automaticamente le paste o i panini più buoni, il servizio migliore e naturalmente mi facesse spendere di più con atteggiamento più gioioso.
come se io domani potessi andare a comprare un'opera letteraria di fabio volo o un'opera discografica dei negramaro.