sabato 31 gennaio 2015

una volta si chiamava pop. storia di un amore. terza parte


L'esiziale 1973 è stato anche l'anno della licenza elementare. l'abbandono di grembiule, bavero e fiocco segnava l'inizio di un periodo di vacanze dal sapore vago e indefinito. non ero così conscio di quello che mi aspettava, suppongo – una nuova scuola, nuovi compagni e più tardi anche una nuova casa – e quindi il futuro non mi sgomentava più di tanto. con me funziona al contrario di quello che è usuale per molti. a me fa paura quello che conosco, non l'ignoto. se non lo conosco, come fa a farmi paura? non sono mica così malfidato. e poi, ovviamente, avevo la musica a cui pensare. per voi giovani, il programma radiofonico pomeridiano della rai non andava in vacanza per fortuna, cosicchè la valanga di nuovi, gracchianti (ahimè) e sempre sorprendenti suoni provenienti dalla mia piccola sanyo rossa non si sarebbe fermata neanche negli altrimenti insopportabili lunghi mesi estivi.
l' evento clou di quei mesi sarebbe stato in ogni caso il mio approdo alla scuola media. i tanti libri che sostituivano il sussidiario, la borsa a tracolla al posto della cartella sulle spalle, l'acquisto del toni blu (tuta da ginnastica per i non abitanti in provincia di firenze) e l'andare a scuola "in borghese" mi elevarono immediatamente al rango di giovanottino di belle speranze.
belle speranze, ahimè, ben presto frustrate dalla sezione in cui ero stato inserito, la q, che si rivelò essere collocata ai margini estremi del sistema didattico italiano. in un paio di mesi, pochissime ore di lezione, ed un tourbillon di professori da capogiro. la mia premurosa genitrice penso bene allora di affidare l'educazione del proprio pargolo alla scuola privata, nella fattispecie a quella dei padri scolopi. (inciso: io sono adesso del tutto contrario alla scuola privata e pure ateo, ma non avevo allora potere decisonale, forse credevo ancora ed erano francamente altri tempi).
il fatto che in prima media ci fosse già mio cugino carlo, fece si che potessi essere inserito nella sezione a, quella dei vips, anzichè nella b, quella che toccava a chi aveva frequentato le elementari altrove. e questa, incredibile dictu, si rivelò una mossa fondamentale per la mia formazione musicale, per vari motivi.
in primis, i ragazzini benestanti avevano già acquistato qualche cassetta pop, e in questo modo venni a conoscere artisti un po' diversi da quelli che avevo iniziato ad ascoltare, e che poi si sarebbero dimostrati grandi compagni di viaggio nel mio cammino, tipo crosby, stills, nash & young e francesco de gregori. ma soprattutto diversi di questi ragazzi avevano fratelli maggiori che compravano i dischi. i dischi veri, intendo.
venire a contatto con i dischi dei fratelli maggiori, è un classico fra le iniziazioni alle cose da adulti o presunti tali. non essendo il mio particolarmente interessato al pop (mi portò però a vedere jesus christ superstar – il film - nonostante non avessi i 14 anni necessari, e non è poco), mi rivolsi ai fratelli di altri. avevo visto i dischi a 33 giri, long playing si chiamavano allora, solo nei negozi o in qualche casa di amici di famiglia, ma mai dischi pop. ne aveva il fratello di un mio amico (lo racconto qui http://giannozzo.blogspot.it/2013/02/qualcuno-deve-pur-averci-presentato_9858.html).
e ne aveva tantissimi il fratello di un altro mio compagno di classe. la famiglia era piuttosto abbiente e (di conseguenza?) piuttosto spilorcia. quando con altri ragazzi andavamo a casa sua dovevamo praticamente muoverci al buio: le luci venivano accese dopo che eravamo entrati in una stanza, e venivano spente prima di uscirne. ricordo anche piuttosto nitidamente una merenda a base di pane e sale. difficile da dimenticare, direi. un giorno in un improvviso empito di ospitalità, o più probabilmente per disattenzione, ci fece entrare, al buio, nel salotto buono. quando accese la luce vidi l'eldorado. incastonato in un sontuoso mobile bianco c'era un mastodontico impianto hi fi: giradischi thorens, amplificatore marantz, registratore a cassette akai, registratore a bobine teac. lo ricordo benissimo, erano le marche degli impiantoni che si vedevano nei negozi di lusso. e dischi, tanti dischi, sul primo della fila c'era una mucca al pascolo. Il nostro ospite ci proibì persino di toccarli. ebbe però la magnanimità di far partire il registratore a bobine: ne uscì un suono purissimo, potente e profondo che, manco a dirlo, mi ammaliò. sulla bobina c'era scritto atom heart mother, era il disco con la mucca, come avrei scoperto qualche tempo dopo.
l'incanto durò naturalmente pochi minuti, perchè il nostro compagno spense tutto frettolosamente.
ma oramai la frittata – l'ennesima – era fatta. dovevo quanto prima passare ai long playing

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